#4 Cose ancora lì
In questa lettera parliamo di un'altalena e una panchina, dei posti in cui torniamo e che accolgono storie, di solitudine e di modi per sopportarla.
Ciao a te, che stai leggendo 🍪
Quanto può cambiare e trasformarsi un luogo a noi caro, quando stiamo via per un po’? Ma soprattutto, quante storie sono passate da quel luogo, in quei frammenti di tempo? Inizio questa lettera così, con due domande secche.
Lo chiedo perché sono tornata a Torino, again. Città che per due anni, tra il 2016 e il 2018, è stata una casa. In realtà, l’ho odiata all’inizio, così grigia e fredda e respingente, senza quel calore – e colore – di Bologna. Poi, abbiamo trovato un punto d’incontro e lì ci ho lasciato un pezzo di cuore. Mi chiedo spesso come sarebbe la mia vita se fossi rimasta. A Torino, da allora, cerco di tornare appena posso. Un’occasione – o una scusa forse – è ovviamente il Salone del Libro, quella bolla-frullatore che si prende tutto e ti risputa fuori più stanca ma con più gli occhi un po’ più pieni di meraviglia (e con meno soldi sul conto corrente).
Mancavo da Torino da un anno esatto. La città è sempre uguale, eppure è così diversa. Familiare ed estranea allo stesso tempo. Torino luminosa. Torino geometrica. Torino regale. Le piazze di Torino. I lampioni di Torino. I tetti che ricordano Parigi. Porta Palazzo e Borgo Droga (ahem, Dora). Torino più turistica. Quel posto sempre aperto, quello che invece ha chiuso. Le piccole certezze. Quelle che crollano. Allora, ripeto: quanto può cambiare e trasformarsi un luogo a noi caro, quando stiamo via per un po’ e poi torniamo? Quante persone sono passate proprio da quei posti che abbiamo abitato e che ora non ci appartengono più? Quanto di noi possiamo ritrovare, e quante altre storie, oltre alle nostre, hanno incontrato e lasciato andare nel frattempo?
Me lo chiedo ogni volta che torno, me lo sono chiesta sfogliando le pagine di un libro che mi ha aperto il cuore.
Cose che sono sempre state lì
«L’altalena era sempre stata lì. Se ne stava di fronte al mare e invitava tutti a sedersi.»
Inizia così L’altalena dell’autrice e illustratrice tedesca Britta Teckentrup, un libro illustrato di 160 pagine pubblicato in Italia da uovonero. Centosessanta pagine di pura bellezza, piene di luce pacifica e del riverbero del sole sul mare.
La storia comincia con un’altalena rossa sopra una collina, di fronte al mare. È un posto dove iniziano le cose, dove poter incontrarsi o stare da soli, dove essere felici ma anche tristi, dove immaginare di poter volare, un posto che ha ascoltato molti segreti, dove incontrarsi e dove alcune amicizie sono andate in pezzi. Un posto dove bambin* e adulti, genitori e anzian*, perfino amic* immaginar*, si trovano, allontanano, amano, confidano, ballano, prendono decisioni difficili, e molto altro.






Pagina dopo pagina, tavola dopo tavola, l’altalena è ancora lì, mentre il tempo passa, le stagioni passano, c’è chi va e chi viene, chi torna e chi non lo farà mai più. C’è la notte, il giorno, le giornate luminose, quelle fredde e di pioggia, ci sono i tramonti e i cieli stellati. C’è la vita che si mette in mezzo. Ci sono le storie, sempre le storie che da lì partono e poi si intrecciano, si sfiorano, si allontanano, si ricongiungono, si allungano in ogni direzione.
Come le radici di un albero.
Luoghi che accolgono storie
Trasferirsi, lontana dalla famiglia, dagli amici, dal mio teatro, non è stato facile. Anzi. Ci sono stati giorni in cui ho pensato di essere la persona più sola di tutta Torino. Non riuscivo ad abitare quella nuova solitudine, a sostenere l’incertezza di quel presente inedito e di quel futuro che non riuscivo ancora ben a immaginare. Mi sentivo come una pianta che è stata sradicata. Dove potevo far attecchire le mie radici?
Non so se anche tu abbia mai provato questa sensazione.
Ti racconto dell’altalena perché mi ha smosso moltissimo. Mi ha fatto tornare in mente un posto che mi ha aiutato, appunto, a sopportare quella solitudine. Una panchina normalissima, vicino alla Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino. Una panchina non è come un’altalena, certo, non ci si può dondolare e far finta di volare, ma a suo modo anche quello era un posto «dove essere molto felici e un posto dove pensare e prendere decisioni importanti», come scrive Britta Teckentrup.
Mi sedevo lì quando mi sentivo sola, o quando semplicemente avevo voglia di uscire di casa. Ci andavo a leggere (è lì che ho incontrato Le mie anime di notte di Kent Haruf, grande amore), oppure con un gelato in mano da gustarmi con calma, per telefonare a mia madre, o semplicemente per mettere in fila i miei pensieri. E come me, prima e dopo di me, tante altre persone di ogni tipo e ogni età. Capitava che arrivassi e la panchina fosse occupata, ovviamente. Ogni volta che vedevo persone sconosciute sedute sulla panchina mi chiedevo: cos’hanno da raccontare? E poi: chissà quante storie sono passate da quella panchina. Quanti desideri ha accolto. Quante preghiere. Quante lacrime. Quante conversazioni o segreti ha ascoltato. Quanti piccioni e insetti si sono poggiati e hanno camminato su di lei. Quanti bambini ci hanno giocato sopra. E soprattutto, mi chiedevo: qualcosa di me è rimasto lì?
Me lo sono chiesta ancora, quando sono tornata a Torino.
Non ho trovato una risposta, perché una panchina o un’altalena non possono rispondere. Semplicemente, accolgono chiunque voglia sedersi, e va bene così.
«Lasciamo sempre qualcosa di noi, quando ce ne andiamo da un posto: rimaniamo lì; anche una volta andati via e ci sono cose di noi che possiamo ritrovare solo tornando in quei luoghi. Viaggiamo in noi stessi quando andiamo in posti che hanno fatto da cornice alla nostra vita.»
(Treno di notte per Lisbona, Pascal Mercier)
Cose da scrivere
Scegli un posto per te importante. Intendo “posto” con un’accezione molto ampia. Può essere un’altalena, una panchina, un albero, ma anche un divano, una stanza, un corridoio. L’importante è che non sia un posto privato, nel senso in cui vai solo tu: anche altre persone devono poter visitarlo, sedersi sopra o sotto o di traverso. Sostarci per un po’, insomma. Adesso: prova ad assumere il suo punto di vista e a immaginare – e a descrivere – i frammenti di storie che ha potuto accogliere e osservare.
Cose da ascoltare (non richieste)
I bambini sono esseri umani. Se non pensate che i libri per bambini siano veri libri, in qualche modo non pensate che i bambini siano veri esseri umani.
In questo caso, niente canzoni da consigliare ma una puntata di un podcast. Si chiama Comodino, ed è “un podcast sui libri e su tutte le cose che ci stanno intorno” che esce il 15 di ogni mese. Lo tengono Ludovica Lugli del Post e l’autrice Giulia Pilotti. Perché ve lo consiglio? Be’, perché in questa puntata si parla – tra le altre cose – del libro La porta segreta. Perché i libri per bambini sono una cosa serissima di Mac Barnett, di cui ti avevo raccontato nella puntata scorsa, Cose dimenticate, ricordi?
Cose che ho fatto a #maggio
tenuto un laboratorio per Holden per le Scuole al Salone del Libro, in cui abbiamo cercato di capire perché certe storie ci piacciono più di altre, come si costruiscono queste fantomatiche storie e abbiamo immaginato nuove apocalissi;
tenuto un super incontro con il nostro gruppo di lettura, Pepite, in cui abbiamo proprio parlato di radici. Abbiamo letto quattro libri che fanno parte di Book Rave, il festival di lettura diffuso in cui 8 case editrici scelgono un tema e 8 libri collegati a quel tema: qui puoi vedere i due libri che ho letto;
letto Il canto del profeta di Paul Lynch, vincitore del Booker Prize e candidato al Premio Strega Europeo, su cui i pensieri continuano a tornare;
ricevuto il contratto per una cosa bella che arriverà l’anno prossimo.
(Cose da promuovere)
Sempre loro, i miei due corsi in partenza per Holden per le Scuole per under 18 che vogliono cimentarsi con la scrittura.
🏺 Il regno del mito e altre storie: qui tutte le info
✉️ L’anno che verrà. Lettera a me stess*: qui tutte le info


Come al solito, se hai letto fin qua, grazie.
Buon fine maggio (non mi sembra vero di poterlo dire), e alla prossima newsletter!
"L'altalena" è proprio un dispositivo che fa emergere luoghi, memorie, tempi diversi in chiunque la incontri. Per me, una delle cose più potenti finora scritte da Britta Teckentrup.
Prendevo il motorino, percorrevo la solita strada che mi conduceva su una terrazza - molto probabilmente privata, ma ero giovane e poco coscienzioso - a strapiombo sul mare. Rimanevo in sella, guardavo l'infinito e a volte leggevo qualche pagina di un libro. Era il mio posto - non secondo le regole della proprietà privata, ripeto - ma era mio. Ero sereno e non ero consapevole. Ma tornavo sempre lì. Il tempo imperfetto di questa mia testimonianza, oggi, mi rende malinconico.