#5 Cose da aspettare
In questa lettera parliamo di attesa e di ciò che accade in mezzo, di balene che per vederle bisogna fermarsi e guardare bene, e di foto analogiche decisamente storte e imperfette.
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Siamo già alla fine di giugno. Quand’è successo esattamente? Che abbiamo superato la metà di questo duemilaventiquattro, intendo. Non lo so. Giugno era così carico di promesse, alcune mantenute, molte altre no. Più lo osservo da vicino, giugno, più capisco che è un mese a metà. Metà primavera, metà estate. L’inizio dell’anno sembra già così lontano, come la fine. Come le vacanze, per chi le vacanze le ha sempre – sempre – fatte ad agosto.
Giugno insegna la capacità di aspettare. Aspettare di lasciarsi alle spalle il meteo incerto e ballerino, di indossare i primi vestiti e le Birkenstock® (sì, sono di quel team), di assaggiare la prima pesca, il primo melone, aspettare la prima gita al fiume. Aspettare che l’estate esploda. Aspettare di sapere quanto pagherai di tasse e, dunque, quanto dovrai piangere. Aspettare che taglino il grano e rimangano solo le stoppie. C’è tanto da aspettare, a giugno.
Aspettare è sempre stato faticoso, per me. Quel vuoto lo riempio di azioni, pensieri, aspettative, spesso ansia. Il tempo dell’attesa lo percepiamo come un tempo perso (o morto, peggio ancora). Un tempo dove non succede niente, e la noia regna sovrana. Ma è davvero così? Devo ancora capirlo. Intanto, sto imparando a fare i conti con l’attesa, a cercare di prendermi il tempo affinché le cose arrivino – e accadano. Facciano il loro corso, insomma. A volte non ci riesco, a volte sì.
Ad esempio, ho sempre amato fotografare. C’è stato un periodo dove non uscivo senza la macchina fotografica, e sono sempre stata piuttosto impaziente di vedere il risultato. Di solito, appena tornavo a casa da una vacanza o da una gita, correvo a mettermi davanti al pc: scaricavo le foto e me le guardavo una a una. Volevo vedere subito il risultato. Da un paio d’anni, in vacanza mi porto una KODAK usa e getta. Per scattare quelle 27 (o 39 foto) ci metto mesi interi, e poi, una volta esaurito il rullino, passa così tanto tempo prima che mi ricordi di portarle a sviluppare che quando finalmente arrivano, dopo altre due settimane di attesa, non ricordo nemmeno una foto.
È un piccolo esercizio. Mi costringo a scegliere i momenti e a lasciare andare. Lascio che l’attesa mi ricordi che può essere sorprendente, che alla fine le cose belle arrivano. Come per le balene. O i germogli a primavera. O magari, può arrivare qualcosa che non mi aspettavo e va bene così. Come un mare storto o un dito che taglia metà foto.
Cose che, alla fine, arrivano
«Se vuoi vedere una balena
ti servirà una finestra
e del tempo per aspettare
e del tempo per guardare
e del tempo per chiederti se “quella è una balena?”»
Poche persone sanno descrivere bene cos’è l’attesa, e perché vale la pena aspettare. Parlo di Julie Fogliano, meravigliosa autrice di due meravigliosi albi illustrati, che non sono ancora così tanto conosciuti come invece meriterebbero, entrambi pubblicati da Babalibri. Se vuoi vedere una balena, da cui sono tratte le parole sopra, e E poi… è primavera: a renderli ancora più speciali, il fatto di essere accompagnati dalle delicatissime illustrazioni Erin E. Stead che, fosse per me, potrebbe illustrarmi la vita.
Due albi che parlano, in maniera diversa, di attesa. Di noia. E di tutto quello che può esserci in mezzo – e accadere – tra l’attesa e quello che arriverà. Perché qualcosa succedere sempre, anche se non sembra.

In Se vuoi vedere una balena, l’autrice ci invita a fermarci, a osservare, a porci domande. Ad aspettare, insomma. Perché per imbattersi in una creatura così straordinaria, be’, occorre attendere. Imparare ad accettare e a valorizzare lo spazio apparentemente vuoto dell’attesa, in cui può germogliare un’impresa o un’idea. Ci vogliono concentrazione, perseveranza, uno sguardo ben allenato e tanta pazienza. L’attesa, e di conseguenza la noia, non sono momenti “vuoti”, ma un terreno fertile su cui seminare fantasia, creatività e immaginazione. Solo così potremo raccogliere alla fine qualcosa di grande, come una balena.
A proposito di terreno fertile e di raccolti. Di questo parla invece E poi… è primavera. Ci sono un ragazzino e il suo cane, e c’è l’autunno e solo «il marrone, marrone dappertutto. E poi ci sono i semi e un desiderio di pioggia, e poi la pioggia arriva…». Il ragazzino e il suo cane decidono di creare un giardino, quindi scavano e piantano semi preziosi, poi osservano il terreno. Ma non succede nulla. Non succede nulla per tantissimo tempo. Quando arriva la primavera? Per aspettare meglio, il ragazzino appende una corda al ramo di un albero ricavando – da un vecchio pneumatico – un’altalena (a proposito di altalene, hai letto la mia lettera precedente? Eccola).
«e sei preoccupato per quei piccoli semi,
forse è per via degli uccelli,
o forse per gli orsi e per tutto quel calpestare,
perché gli orsi non leggono i cartelli
che dicono “per favore non calpestare:
ci sono dei semi che ce la stanno mettendo tutta”.»
Ma se solo riuscissimo a guardare meglio, vedremmo che, in fondo, qualcosa in realtà sta succedendo dove il nostro sguardo non arriva. C’è la vita che nasce, ci sono le stagioni che fanno il loro corso. E poi, dopo tanto attendere, la primavera arriva e, con essa, il miracolo che ogni anno fa accadere, ancora e ancora.

Se siamo fermi, non è che non ci muoviamo
La vita da freelance è tutt’altro che facile ed è fatta di molte attese. Tante attese. Attese che altre persone rispondano a una mail, una chiamata, un messaggio. Diano un feedback. Accettino un preventivo. Paghino. Attese per far fiorire un’idea, coltivarla come si deve, vederla crescere e diventare grande. Raccoglierne i frutti. Attese per vedere anche quell’idea essere bocciata, o non accolta, e allora devi ricominciare tutto da capo e aspettare di nuovo. A volte, mi sembra di aspettare e basta.
Quando parlo di attesa con altre persone, scopro che condividiamo gli stessi sentimenti. Abbiamo perso il tempo dell’attesa, quella capacità di aspettare che qualcosa accada senza necessariamente riempire tutti gli spazi. L’attesa ci provoca disagio, perché non sappiamo cosa c’è dall’altra parte e se ci piacerà. Oppure lo sappiamo e ci speriamo tanto, e se venissimo delusi? O ancora, se ricevessimo una brutta notizia? Spesso, ci sembra di aspettare a vuoto, che stiamo perdendo la cosa più preziosa che abbiamo: il tempo. Perché – di nuovo – ci sembra di non stare facendo abbastanza, che se siamo fermi allora non ci stiamo muovendo.
E se non fosse così? Se il segreto stesse proprio nel riappropriarsi di questo tempo e nella capacità di resistere alla tentazione di fare-fare-fare e riempire quel vuoto che l’attesa comporta. Se fermarsi, insomma, non significasse non muoversi ma stare, un intenzionale e consapevole atto di attenzione verso noi stessi e il mondo che ci circonda? Per vedere una balena, bisogna allenare lo sguardo, e scrutare attentamente il mare. Bisogna fermarsi e guardarsi attorno, perché altrimenti la balena rischi di perdertela.
Faccio mio quello che una cartomante mi ha detto durante una lettura dei tarocchi in cui – coincidenza? – è uscito questo tema (le piccole gioie delle sagre di paese!). In sintesi: faccio sempre troppo e non mi prendo il tempo di lasciar accadere le cose belle. Arriveranno, la ruota girerà, ma non posso forzarla. Più di quello che sto facendo non posso fare: devo, insomma, godermi l’attesa. Almeno provarci.
Cose da scrivere
Una cosa piccola, oggi. Scrivi cos’è, per te, l’attesa. E cosa accade durante. Che forma ha? Cosa senti? Cosa provi? Cosa vedi, se solo riuscissi a fermarti e a guardare meglio, come il bambino di E poi… è primavera? Con cosa cerchi di riempire l’attesa? Penso che sia un esercizio utile per fermarci.
Cose da ascoltare (non richieste)
Waiting, Alice Boman
Still Waiting, Sum 41
Waiting Room, Phobe Bridgers
I Will Wait, Mumford & Sons
Wait, M83
Waiting, Green Day
I’ll Be Waiting, Lenny Kravitz
Waiting For The End, Linkin Park
Sull’attesa ci sono tante canzoni, perché sono tanti i tipi di attesa. Attesa per la fine del mondo, per il ritorno di un amore, perché accada qualcosa. A ciascuno la sua, di attesa e di canzone.
Cose che ho fatto a #giugno
ho tenuto il mio primo corso per Holden per le Scuole: l’attenzione con cui mi hanno ascoltata, ragazzi e ragazze, e quello che mi hanno restituito mi ha commossa. Abbiamo capito che, in fondo, i miti sono ancora tra noi, vivi e vegeti, che non esistono culture senza miti, che sono storie che meritano di essere lette, nonostante tutto, e che ci parlano ancora. Abbiamo provato a inventarne di nuovi, e io posso solo ringraziare per le storie che mi sono state donate;
visto finalmente la mostra dedicata a Escher a Palazzo dei Diamanti a Ferrara, a cui volevo andare da marzo; se siete della zona o di passaggio, be’, consiglio: è aperta fino al 21 luglio;
tagliato i capelli (again), perché non sono mai pari.
Come al solito, se hai letto fin qua, grazie.
Ti saluto con una versione di Alessia-Escher. Ci leggiamo a luglio per alcuni consigli di lettura a tema #estate, poi ci auguriamo buone vacanze!
P.S.: ci sono ancora posti disponibili per questo corso qua, L’anno che verrà. Lettera a me stess* (qui tutte le info): se conosci under18, spamma senza pietà (ma sempre con gentilezza) ❤️
Appena ho letto attesa, ho subito ripensato al libro "Waiting for Godot" di Samuel Beckett (ebbi la fortuna di vedere lo spettacolo teatrale a Londra nell'ormai lontano 2009 con Ian McKellen nel ruolo di Estragon). Due passaggi:
ESTRAGON: He should be here.
VLADIMIR: He didn't say for sure he'd come.
ESTRAGON: And if he doesn't come?
VLADIMIR: We'll come back tomorrow.
ESTRAGON: And then the day after tomorrow.
VLADIMIR: Possibly.
ESTRAGON: And so on.
VLADIMIR: The point is –
ESTRAGON: Until he comes.
•••
VLADIMIR: We are no longer alone, waiting for the night, waiting for Godot, waiting for . . . waiting. All evening we have struggled, unassisted. Now it's over. It's already tomorrow.
Credo che in un mondo dettato sempre più dalla fretta e dalle ricompense istantanee, saper attendere, saper pazientare, saper rallentare, siano superpoteri.
Che coincidenza, Alessia: proprio dieci giorni fa, in un gruppo di lettura sugli albi illustrati, sono inciampato in "Se vuoi vedere una balena" (che conoscevo) e "E poi... è primavera" (che non conoscevo). Grazie per questo tuo intenso racconto.
E grazie per avermi ricordato della mostra su Escher! A proposito, ti consiglio un bel graphic novel su di lui: "Escher. Mondi impossibili" di Lorenzo Coltellacci e Andrès Abiuso.